Ricino, MTM teatro Litta: la crudele persecuzione della popolazione omosessuale alla fine degli anni ’30. Deriva della democrazia, assenza di leggi punitive e centinaia di “invertiti” allontanati dalla vita sociale, essendo ritenuti infettivi.

ricino_5-1024x576 Ricino: la persecuzione degli omosessuali negli anni ’30

Ricino, abuso di potere, miserie deontologiche e un regime che nega alle minoranze l’identità

La crudele persecuzione della popolazione omosessuale alla fine degli anni ’30 è al centro di Ricino.

In un’Italia che subiva, quasi senza rendersene conto, la deriva della democrazia. In assenza di leggi punitive, centinaia di “invertiti” venivano allontanati per anni dalla vita sociale, essendo ritenuti infettivi.

Ricino parla dell’abuso di potere e delle miserie deontologiche che spingono un regime a sottomettere minoranze, costringendole a negare la propria identità. In Italia, con le leggi razziali del 1938, il regime fascista stabilisce che gli uomini accusati di sessualità non conforme alla norma, gli invertiti, vengano isolati al confino sulle isole, che verranno dette sataniche: Tremiti, Ponza, le Egadi.

L’omosessualità maschile viene considerata un peccato, una vergogna, un atteggiamento perverso contro la morale comune, nonostante la definizione di omosessuale fosse piuttosto incerta, ponendo una differenza di valore e, quindi, di reato e di pena, tra l’omosessuale attivo e quello passivo.

Nel grande affresco di un dramma di portata epocale, Pasquale Marrazzo ed Antonio Mocciola scelgono una traccia quotidiana, spicciola, persino familiare. Perché è dai piccoli dolori, dai troppi non detti, che nacque la repressione, autorizzata dal clero silente e da una società poco coesa. Eppure, isolandoli, il Fascismo ha paradossalmente fatto sì che si creasse una coscienza di genere che prima nessuno aveva osato soltanto pensare.

Italia e le leggi razziali del 1938

Le leggi fasciste non definivano esattamente il reato di omosessualità, ponendolo tra quelli contro il costume e declinandolo ogni volta in maniera diversa a seconda delle necessità accusatorie.
L’accusa di costumi sessuali deviati divenne anche un modo per porre al confino molti nemici del regime, cosicché sulle isole si ritrovarono omosessuali e prigionieri politici.
Quale omosessuale, almeno una volta nella vita, non ha dovuto smentire il proprio essere per poter “sopravvivere”?  La vergogna di essere quello che si è nasce dall’abuso per eccellenza, ed è il risultato di un percorso in cui la vittima si sottomette al pensiero dominante del carnefice.

Note di drammaturgia

Ricino parte da una storia d’amore passionale e carnale fra due giovani napoletani, Umberto e Vito, ambientata durante la seconda guerra mondiale. Si approda a una vera e propria odissea disumanizzante.
La crudele persecuzione della popolazione omosessuale da parte dei fascisti, alla fine degli anni ’30. In assenza di leggi, troverà il modo per recludere chi, secondo loro, commetteva atti contro natura.

Il drammatico spaccato antropologico di un’Italia che subiva, quasi senza rendersene conto, la deriva della democrazia. Nonostante l’assenza di leggi punitive, centinaia di “invertiti”, com’erano chiamati gli omosessuali al tempo, venivano allontanati per anni dalla vita sociale, essendo ritenuti “infettivi”.


In questo dramma di portata epocale, Pasquale Marrazzo e Antonio Mocciola scelgono una traccia familiare per raccontare ciò che rimane di un amore quando il mondo ti è avverso, perché è proprio dai piccoli dolori, dai troppi non detti, che nascono le repressioni e di conseguenza nuove coscienze.

Eppure, il fascismo, nel tentativo di isolare il genere ha, paradossalmente, fatto sì che si creasse una coscienza di genere, dando origine e vita alla comunità lgbtq+.

Note di regia

“RICINO” nasce da un vecchio testo di Antonio Mocciola dal titolo “L’ISOLA DEGLI INVERTITI” e, quando nacque la possibilità di entrare a far parte del progetto sia come regista che come coautore mi preoccupai, innanzitutto, di ambientare la storia a Napoli e non in Sicilia com’era originariamente.

Poi, secondo il mio punto di vista, per creare un contrappunto a tanta crudeltà basata su fatti storici realmente accaduti, mi sembrava necessario plasmare una tenera e suggestiva storia d’amore fra due ragazzi per spostare l’asse del racconto dalla originaria morbosità fra padre e figlio, inizialmente scritta da Antonio Mocciola, a qual cosa di più popolare, come l’urgenza della richiesta di passione.

Devo, in questo caso, ringraziare Antonio Mocciola per avermi lasciato campo libero e cambiare, quasi radicalmente, il testo rispetto alla sua versione iniziale. Pasquale Marrazzo.